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Tra arte e architettura: Massimiliano Ercolani

di Fabrizio Aimar

Massimiliano stesso afferma di utilizzare il proprio blog “per chiarirsi le idee”, una sorta di diario di bordo dei propri pensieri, i quali saranno utili per accompagnare lo sviluppo di progetti futuri.

La trasversalità dei suoi riferimenti trova sostanza nell’operare e nelle ricerche di alcuni riferimenti del mondo architettonico, come Gaetano Pesce, di cui ammira il programma funzionale, al pari del compianto Eric Miralles, fondatore dello studio catalano EMBT.

E proprio dall’architetto spagnolo, egli cercare di far propria la capacità di raccontare la storia di un progetto per continui cambi di scala, con occhi che inseguono con vertigine i mille particolari. Intendendo l’uomo come elemento-misura, trasporre tale affermazione all’interno della città consegna all’edificio singolo un rispettivo valore minimo. “Possiamo immaginare le città come un testo mai finito”, afferma sul proprio blog Ercolani, “che viene inserito all’interno di tale paesaggio.” Esso viene rappresentato da una parola, in cui la comprensione del significato di tutto il testo è necessaria una visione globale. “Ogni parola, come ogni edificio, ha un significato e questo ha valore in sé”, egli osserva, “e anche se isolata, una parola assume il valore minimo per cui è stata creata”, al pari di ciò che accade in un edificio. Infatti, “così come ogni edificio ha valore in sé, anche senza contesto riesce a trasmettere il valore minimo per cui è stato creato”.

Il suo fare progettuale cerca l’alto impatto visivo, adottando perciò un senso narrativo che lo spinge a raccontare delle storie. Nella sua concezione, l’architettura-narrazione si lascia leggere e coinvolge ludicamente, sconfinando nei campi del digitale e del sci-fi e facendo propri riferimenti che provengono dal mondo letterario e della fumettistica.

Il suo avvicinamento all’operare teorico, e pratico, di Lebbeus Woods porta alla riflessione sul tema dell’architettura urbana abbandonata e rivissuta, traendo spunto dall’agire radicale che egli compie in testi come “War and Architecture” rispetto anche ai conflitti che insanguinano l’Europa alle soglie del XXI secolo. Senza dubbio il tema di un’architettura da lui definita “mutante” lo interessa come esito di un percorso, derivante dall’aggressione proprio di quei canoni borghesi codificati quasi come statutari del sociale. Così agendo dal suo interno, i simboli fisici del capitalismo perdono di retorica, come nel caso della Torre di David a Caracas, in Venezuela, trasformata in una sorta di slum verticale. Esse sono tattiche di sopravvivenza urbana di una popolazione in continuo mutamento, e così anche gli edifici debbono poter essere revertibili secondo tali processi, in quanto costruiti da quella società per i propri usi.

Sempre in tale alveo, l’attenzione verso l’architettura cosiddetta “parassita” lo porta ad avvicinarsi alle opere dei Morphosis Architects e, in particolare, di Thom Mayne, oltre alle ricerche della corrente Decostruttivista. Di questa, egli ammira l’operare di Daniel Libeskind così come di Coop Himmelb(l)au, rappresentata da Wolf D. Prix, fino a Diller Scofidio + Renfro, soprattutto nei loro lavori iniziali maggiormente sperimentali.

Dai filoni di ricerca appena descritti, egli cerca di proporre racconti sul tema della città facendo proprio l’aneddoto narrativo, interessandosi sempre più del confine come inizio di una nuova ricerca. A tal proposito, è lo stesso Ercolani a constatare i motivi dietro a questa lettura del reale, in cui il principale è dato dallo svanimento della centralità dello stato. Questa osservazione lavora a più livelli, “sia come epicentro di regolazione del singolo, sia intesa come sovranità operata attraverso l’esercizio del controllo e di guida sul territorio”. Dunque, se le interne dinamiche sociali sono influenzate da questo cambiamento, Ercolani si interroga proprio su cosa rimane di questo confine, ormai reso fluido, liquido e virtuale al contempo, all’apparenza smaterializzato.

Pertanto, ecco appoggiarsi al mondo dell’immaginario per ipotizzare una progettazione di scenario, in cui il filone del cyberpunk recita un ruolo da protagonista. William Gibson, esponente di spicco di tale corrente, ha preconizzato di decine d’anni realtà oggi attuali, ispirando in lui progetti, riflessioni e schizzi dell’immaginario. Se il concetto del superamento delle nazioni e della fluidità del capitale è uno dei temi del noto pensatore polacco Zygmunt Bauman, già dal 1984 lo stesso Gibson parlava proprio di tale annullamento rispetto al valore delle multinazionali. Per cui, “la fantascienza è progetto”, rileva con certezza Ercolani, poiché “ogni architetto, quando progetta, prevede il futuro anticipandolo”, a prescindere dalla forma. Questo ha generato una ibridazione tra costruito ed immaginario, tra realtà e previsione di scenario, portando questa trasversalità dell’operare ad ibridarsi con l’architettura, in una corrente propriamente nota, per l’appunto, come “transarchitettura”.

Egli è conscio del fatto che l’architettura scritta, al pari di quella disegnata, non sia da confondersi con quella costruita, ma può fungere quale ispiratrice di riflessioni concrete sulla città e sui suoi corpi artificiali. Una adesione al radicalismo, la sua, che affonda le radici già nel periodo formativo condotto all’università, in cui la scoperta della Monument House di Josh Schweitzer gli permise di capire un reale interesse verso le avanguardie. Proprio grazie ai consigli di Franco Purini, nel 1991, gli occhi si spostarono verso l’operare di Peter Eisenmann, antefatto di brani di storia già nota e descritta in precedenza.

Tuttavia, egli si avvicinò al Costruttivismo Russo anche grazie all’operare di un altro professore, Giorgio Muratore, operando confronti tra la scuola del Bauhaus, tedesca, e quella del Vchutemas, russa. Ma questa è, in realtà, la seconda volta che la storia di quel Paese si intreccia con la sua: infatti, in gioventù, fu assistente di bottega nella raffigurazione di icone, fino all’età di 21 anni.

Un approccio filosofico sulla città, il suo, che ha trovato mezzo e fine nel ciclo di disegni della “New York City Farm”, presenti all’interno del libro “Lezioni dalla Fine del Mondo” pubblicato da D Editore. Certo, molto viene desunto dagli studi sul mondo della fumettistica, in particolare da Daniel Torres, così come dal mondo della grafica, da Neville Brody a Massimo Vignelli passando per David Carson. Tuttavia, è il suo percorso ancora una volta a trovare il modo di fondere insieme ricerca radicale e riminiscenze del passato, amalgamando tra loro, questa volta, il ritorno all’icona con l’ambiente urbano. E’ infatti la nuova serie “icona” a sintetizzare questa forma quasi sacrale verso l’architettura, intesa questa in senso puro, in cui la contrapposizione tra oggetto/sfondo viene marcato, ed esaltato, dall’impiego della foglia d’oro.

La doratura intende dare nuovo vigore alla contrapposizione oggetto/sfondo già teorizzata, a suo tempo, da Le Corbusier, ma non si lega alla revisione contemporanea in chiave kitsch dell’oggetto-icona. L’oro, in questo caso come nella tradizione, appiattisce lo sfondo in quanto ne stempera la luce, facendo risaltare l’oggetto raffigurato in primo piano. Vengono perciò evitate le forzature dialettiche dell’oggetto-icona teorizzato da Gillo Dorfles, e portato a scala architettonica dall’operato di Rem Koolhaas nella Fondazione Prada a Milano. Il soggetto, invece, viene rappresentato impiegando la tecnica dell’acquerello quale riempitivo in ampi campi della figura, la quale viene delimitata da tratti composti a china. Pur essendo una tecnica pittorica difficile da governare poiché delicata, l’acquerello assicura una certa rapidità di stesura, marcando anche a livello tecnico la dicotomia tra oggetto e sfondo. Infatti, la foglia d’oro è lenta nell’esecuzione, al contrario del primo piano acquerellato, che appare veloce, fresco ed immediato. In merito a prospettive future, queste contempleranno nuove sperimentazioni nel campo della tecnica rappresentativa: è lo stesso Ercolani ad affermare un tentativo di approccio verso l’acrilico, al fine di avvicinarsi all’operato di Valerio Adami.

Massimiliano e Emanuele Ercolani
Emanuele (sx) e Massimiliano Ercolani

in breve
Ercolani Bros – bio

Siamo Ercolani Bros. Due fratelli, due differenti generazioni.
Massimiliano nasce all’inizio degli anni settanta all’interno di una delle fortezze progettate da Francesco di Giorgio Martini sulle colline marchigiane. Durante il crollo del Muro (quello di Berlino) riproduce Icone Russe per una bottega Viterbese, dal 1990 collabora con diversi studi professionali e società di progettazione del territorio romano. Si laurea in architettura (per caso) nel 2004.
Emanuele nasce in mezzo agli anni ottanta in una cittadina lambita dalle acque del Mar Tirreno, fuori dalla Fortezza del SanGallo. Si occupa di grafica e di interni fino ad arrivare ai complementi d’arredo e al design. Appassionato di musica e dj, organizza inoltre eventi e performance.

Massimiliano Ercolani
Massimiliano Ercolani

Entrambi cresciuti nella provincia romana, a due passi dal mare, nel 2006 decidono di mettere su un laboratorio indipendente dedito alla creatività.
Nasce così Ercolani Bros. / DoKC Lab.
Nel 2003 creiamo la rivista digitale (su Floppy Disk) :Interstizi: che nel 2008 diventa cartacea e nel 2009 viene presentata alla Commissione Cultura dell’Unione Europea in Bruxelles.
Nel 2013 Massimiliano cura e traduce per Deleyva Editore “Guerra e Architettura” di Lebbeus Woods.
Nel 2014 il DoKC Lab è selezionato ad “Architects meet in Fuoribiennale_OFF” Palazzo Widmann – Calle Widmann, 30121 Cannaregio, Venezia.
Nel 2016, con Emmanuele J. Pilia ed Emidio Battipaglia, fondano D Editore.
Nel 2021 si occupano della grafica e dei cataloghi del padiglione Italia alla 17 Biennale di Architettura di Venezia.

Fabrizio Aimar

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Fabrizio Aimar
Fabrizio Aimar

in breve
Fabrizio Aimar – bio

Architetto, Dottorando di ricerca in “Urban and Regional Development” presso il Politecnico di Torino. È stato Consigliere dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Asti per il periodo 2017-2021 e membro dell’Advisory Board del Padiglione Italia alla 17^ Mostra Internazionale di Architettura di Venezia (2021). Inoltre, Aimar è stato anche relatore invitato al XXVIII Salone Internazionale del Libro di Torino (2015) e alla Camera dei Deputati del Parlamento Italiano presso Palazzo Montecitorio a Roma (2015). Da Ottobre 2021 è Lecturer presso la Facoltà di Architettura e Design della Polis University (Tirana, AL).