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Prontuario (non pratico e soggettivo) per la sopravvivenza post-pandemica

di Massimo Gasperini

Introduzione

Questo è il momento della reazione.
Architetti unitevi e apritevi alle alleanze.
Pensate al nuovo Mondo come sistema di relazioni innovative, di spazi nuovi e sostenibili, luoghi da recuperare e rigenerare dalle vecchie città risorte.
Utilizzate il pensiero utopico come strumento progettuale critico e privilegiato. Abbiate il coraggio di esporvi, di pentirvi degli errori fatti e degli errori che farete.

Causa

Il periodo negativo che ci affligge pare non esaurirsi. Il virus colpisce in maniera terribilmente “democratica” ogni essere umano, senza distinzione di età, di ceto, di luogo.
La fase peggiore della pandemia sembra passata. Tuttavia in molti paesi del Mondo i decessi mostrano come tale fenomeno non possa essere né prevedibile né, tanto meno, tenuto sotto controllo. In America Latina in questi giorni si contano un milione e mezzo di contagi e 73 mila morti. Tutta la nostra speranza è riposta nella ricerca di un vaccino efficace.
È evidente che il modello di sviluppo condiviso a livello mondiale in questi ultimi decenni, entro cui la globalizzazione fondamentalmente si incardina, ha fallito. Ci troviamo d’innanzi a delle scelte che diverranno cruciali per il nostro futuro. Decisioni che condizioneranno fortemente le generazioni a venire. In questo delicato contesto noi architetti abbiamo una responsabilità molto elevata poiché siamo corresponsabili del disastro. Siamo pronti ad affrontare questo passaggio epocale? Abbiamo in dote i giusti strumenti e la virtù della lungimiranza? Siamo coadiuvati dalle alleanze e siamo disposti ad allearci?
Questo è il tempo del coraggio. Dobbiamo aspirare alla coalizione tra i saperi, le esperienze, le visioni utopiche. Poiché ogni pensiero utopico, quando attuato, è destinato a trasformarsi nel suo opposto, ovvero nella dimensione distopica. Non c’è progetto significativo che aspiri al progresso che non incardini l’energia utopica. D’altronde non esisterebbero le maggiori opere dell’umanità senza l’ambizione, ovverosia la propulsione alla visione. Visione e immaginazione possono costituire gli elementi essenziali per ripensare il futuro alla luce degli attuali eventi.

Ante quem

Qualche anno fa mi è stato chiesto di scrivere un contributo per la pubblicazione di un progetto di ricerca coordinato da Alessandro Melis.

Il mio testo dal titolo A.D. 2050: la nuova apocalisse iniziava così:
«ZombieCity è l’ultima possibilità di sopravvivenza del genere umano sulla Terra. La catastrofe biologica è iniziata, l’attacco virale è inarrestabile ed ha ormai raggiunto l’ultimo stadio, il punto di non ritorno.
Lo scenario che si descrive è certamente apocalittico, in cui scienza e tecnologia – e qui sta il paradosso – sono sia una delle armi di distruzione di massa più potenti, ma anche gli unici strumenti di risposta al bisogno primario di permanenza dell’uomo sul pianeta. La sussistenza nel mondo, nell’epoca della rivoluzione morfogenetica e biotecnologica, che per la speranza apocalittica era apparsa inaccettabile forma di rassegnazione, rischia ora di apparire conseguimento supremo. Vi è dunque l’impellenza di costruire delle città senza precedenti, delle aggregazioni umane capaci di risolvere il dilemma della vita associata. L’ultimo baluardo per la salvezza dell’uomo. Città nuove che, per imposizione programmatica, non nascono sulle rovine delle precedenti, ma vi si sovrappongono, escludendole dalla possibilità di una futura vita collettiva, determinando una nuova forma di esistenza»
Si trattava evidentemente di un concetto portato alle estreme conseguenze stimolato da una interessante sperimentazione progettuale condotta in ambito accademico che spingeva la riflessione ben oltre gli assunti programmatici: ripensare la città del futuro proponendo nuovi spazi di aggregazione, di relazione e di convivenza (sopravvivenza?). Temi questi centrali e secolari nella riflessione critica e sociale dell’architettura.
Gli esiti della ricerca ZombieCity presupponevano che la “città nuova, sovrapposta alla preesistente” avrebbe risolto molti dei problemi che affliggevano l’umanità.

Fig. 1. Città dei colombari bozzoli 19

Post quem

Sviluppai in quella circostanza una serie di elaborazioni grafiche digitali da accompagnare al testo, tuttavia rinunciai a pubblicarle. Negli anni successivi queste visioni, prodotte in mostre e manifestazioni sotto forma di schizzi e ricostruzioni digitali, hanno suscitato un certo successo di critica, forse più per il loro ascendente figurativo che per i contenuti concettuali che in esse si celavano.
L’immagine più significativa di questa serie rappresentava una città satellitare fatta di capsule ovulari autosufficienti, sospese sulla città distrutta, in questo caso la città siriana di Raqqa ripresa da un drone dell’esercito americano post bombardamento del 2017.
La città, smembrata e svuotata dai suoi abitanti in cui i positivi (case e isolati) e negativi (percorsi e piazze) diventano un tutt’uno, una tabula rasa, è sostituita da una città apparentemente aliena e impersonale sulla quale la storia si riflette.
Una visione certamente apocalittica e fantascientifica in cui solo apparentemente il progresso spazza via la storia e gli errori dell’uomo (questo intendevo comunicare ad una prima visione). Tuttavia il futuro senza storia non esiste poiché proprio sulla storia la città del domani può riflettersi e dunque deve fondarsi.
Dopo di questa elaborazione seguirono altre figurazioni più o meno desolanti a costituire la raccolta successivamente denominata Città dei colombari.

Visionarietà

Intendevo portare alle estreme conseguenze la dicotomia tra la “città nuova”, generata sul concetto di ripetizione e aggregazione intensiva e la “città vecchia”, connotata dal tessuto urbano formato su ancestrali modalità di vivere e di associarsi.
Questa visione metteva in evidenza la sconfitta dell’umanità.
In verità sono ancora fermamente convinto dell’efficacia di questa dimensione di “utopia negativa” se intesa come strumento critico della realtà volto al cambiamento, giacché credo possa essere utile se declinata al progetto, sin dalla piccola scala dell’intervento, quella dello spazio domestico.
A partire da qui possiamo pensare a delle nuove ed efficaci modalità operative che ci permettano di ripensare al modo di utilizzare lo spazio dell’uomo.
Dobbiamo avere il coraggio delle nostre azioni e reagire attraverso le sostituzioni, gli adeguamenti.
Ripensare ad un sistema di vita e di relazioni diverso.
Dobbiamo semplificare le norme rendendole più efficaci, snellire l’apparato burocratico rendendolo meno farraginoso e contraddittorio.
Sembrano questi proclami reiterati e mai realizzati ma credo siano i presupposti per una vera e propria piattaforma di ripartenza per ripensare ad un nuovo mondo sconvolto dalla crisi climatica, di cui l’azione umana è in gran parte responsabile.
Abbiamo un patrimonio edilizio vecchio, inadeguato e vulnerabile, bisognoso di revisioni.
Dobbiamo altresì ripensare agli spazi pubblici, alla loro riformulazione alla luce degli eventi recenti.
Ripensare agli spazi della cultura come luoghi di rinascita sociale.

Alleanze

Le visioni digitali della Città dei colombari sono immaginifiche, al pari degli scenari rappresentati nei miei quaderni neri, volte a scatenare l’immaginazione verso la ricerca di soluzioni per future possibilità di sopravvivenza sul nostro pianeta.
La riunione delle discipline può costituire un primo tassello del grande puzzle ma come tutti sanno presuppone l’abbattimento di barriere che il tempo pare avere inesorabilmente solidificato.
La nostra disciplina ha creato, a sua volta, ulteriori specializzazioni che nel tempo hanno sofferto (opportunisticamente) l’isolamento.
Abbiamo già avuto ampia dimostrazione dell’efficacia della riunione delle arti nella storia recente: le avanguardie, l’esperienza radicale nata in Italia a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento.
Se attendevamo la situazione giusta per reagire, è arrivata!
Dobbiamo recuperare la lungimiranza e il pensiero utopico.

Concerti di idee in azione nel Quinto Paesaggio

Concepire soluzioni efficaci a garantire il distanziamento sociale, sicuro antidoto alla propagazione del virus, appare urgente anche in ambito culturale e artistico.
In coerenza con gli assunti espressi precedentemente ho pensato a due modalità operative adottabili sia da chi produce ed esprime l’arte, sia da parte di chi la riceve: creare e ricevere da terra / creare e ricevere sospesi.
Nascono così le prime composizioni paradossali in cui si raffigurano scenari noti e affollati: Piazza San Pietro con Cerimonia liturgica, nella quale una miriade di mongolfiere in volo rispettano il rigido ordine geometrico dettato dalla scacchiera; Woodstock ne Il primo concerto in cui altri palloni aerostatici, stavolta disposti disordinatamente, proiettano in cielo il numeroso pubblico; Stadio Atzeca in Italia – Germania 4 – 3 i cui gli spettatori disertano gli spalti per sistemarsi su di una griglia sospesa disposta come copertura.
Omaggiando, nello stile rappresentativo e comunicativo, le famose tavole composte in fotomontaggio dal gruppo fiorentino Superstudio, aspiro alla stessa quota di “utopia negativa” e costruttiva.

Massimo Gasperini

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